Descrizione
Estratto da: Discorso della lingua bolognese. Bizzarro Capriccio di Camillo Scaligeri della Fratta. In Bologna, presso Clemente Ferroni, 1630. «Ecco sei fra frottole e favolette in vernacolo bolognese, più uno in lingua aulica, in tutto sette, estratte da un libro, di cui qui riproduco il fontespizio…». “Stampato su carta verde in 150 esemplari”. Cfr. Doria, 94
Camillo Scaligeri della Fratta, pseud. di Adriano (Tommaso) Banchieri [Bologna, 1568-1634]. Compositore, organista, letterato, teorico musicale. Studioso delle nuove possibilità linguistiche della musica, gli si attribuisce l’invenzione delle stanghette di divisione delle battute e della indicazione degli accidenti in chiave. Ricca e multiforme fu l’attività creativa del B., e non solo in campo musicale, con le numerose opere sacre e profane e con i non meno numerosi trattati teorici e didattici, ma anche in campo letterario, per il quale conta un posto di rilievo nella letteratura dialettale bolognese.
Vittorio Imbriani
(Napoli 1840-1886) figlio di Paolo Emilio e di Carlotta Poerio, passò la sua prima giovinezza in esilio. Scrittore, storico e patriota napoletano. Saggista e poeta, insegnò letteratura italiana e tedesca all’università di Napoli. Tra le personalità più eminenti ed affascinanti della cultura italiana ed europea, della seconda metà dell’800, l’esperienza, le frequentazioni e gli studi all’estero gli conferiscono uno spiccato spirito critico ed un pensiero politico-civile di livello europeo. È stato, insieme con Niccolò Tommaseo, il più importante conoscitore della lingua italiana del XIX secolo. Scrisse centinaia di opere fra libri e opuscoli: articoli politici e letterari, saggi filosofici e di critica letteraria e d’arte, studi filologici, romanzi, racconti, poesie, studi di dialettologia e folklore (fu tra i primi raccoglitori di fiabe popolari). Giornalista e polemista vivace e instancabile, nella politica e nelle lettere (Fame usurpate, 1877), collaborò all’Italia di F. De Sanctis (1863-66), alla Patria, di cui fu direttore, alla Nuova Patria (1870-71). Nel 1872 si trasferì a Pomigliano d’Arco, dove fu eletto Sindaco per pochi mesi. La sua opera narrativa rivalutata negli ultimi decenni, si distingue nel panorama letterario del tempo per un’estrosa inventiva linguistica, non aliena da arcaismi e da contaminazioni dialettali, che corrisponde a un atteggiamento programmaticamente anticonformista. Nel 1878 si sposa con Gigia Rosnati, gentildonna milanese figlia di Eleonora Bertini con la quale Imbriani ebbe una lunga e intensa relazione, e si stabilisce a Pomigliano d’Arco. Da questa unione nacquero due figli che però morirono entrambi bambini. Nel 1884, vince la cattedra di estetica all’Università di Napoli, ma il suo stato di salute non gli consentirà d’iniziare le lezioni. Muore il 1° gennaio 1886 a Pomigliano d’Arco. Si occuparono di Imbriani, contribuendo a diffondere e mantenere la conoscenza di questo autore, Benedetto Croce, Gino Doria, Nunzio Coppola, Alda e Elena Croce.